memories

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Saturday, August 20, 2011

Valrossara e' un po' di infanzia ritrovata

Una mela si e' appena staccata dall'albero. E' una piccola mela variopinta: un po' di rosso, un po' di giallo.
Cadendo arriva quasi ai miei piedi.
Mi chino a raccoglierla. La meletta e' sana e siccome siamo in campagna do per scontato che sia anche pulita da quella polvere appiccicosa di smog cittadino.
Comincio a morderla.
La polpa esplode su tutte le mie papille gustative con una varieta' di fragranze a cui non ero abituata.
Altro che acqua zuccherata contenuta in un involucro piacevole alla vista. Questa mela campagnola rilasciava gusti controversi: dal dolce all'aspro; sapidi, quasi esotici, intendendo per tale qualcosa di lontano e inusuale.
Dovevo avere un'espressione allibita o estasiata, perche' un uomo, che sarebbe poi diventato un mio vicino, passandomi accanto disse: "buona eh? Sono le mie preferite".
E tiro' dritto quasi non volendo disturbare.
Le sue parole mi riportarono al luogo dov'ero.
Con il frutto mezzo mangiucchiato ancora saldamente in mano, perche' mi spaiceva finirlo, mi girai per meglio capacitarmi dello spazio nel quale mi trovavo.
E zoom ! Cupido lancio' la freccia.
Ero arrivata a Valrossara, cosi' si chiama il borgo da dove quella mela proveniva, in un pomeriggio di settembre. Sembrava disabitato, anche se non mancavano segni di qualche presenza umana.
L'aria tersa, il sole ancora caldo, il cinguettio di qualche uccelletto, l'abbaiare di un cane in lontananza, il colore intenso, anzi, di piu', quasi persistente della natura tutt'attorno che abbracciava il borgo in una morsa di verde inespugnabile: sembrava di essere su un set cinematografico dove di li' a poco avrebbero girato un'azione mozzafiato.
E invece silenzio e aria pulita.
Guardai piu' attentamente cosa c'era attorno a me.
Mi trovavo in un vecchio cortile in parte circondato da case attaccate l'una all'altra che formavano come una L, mentre dall'altro lato sembrava un fiordo per l'intercalare di stalle e stallucce frammezzate da spazi occupati ora da un giardinetto, ora da una scaletta che scendeva nel viottolo sottostante.
Dalla descrizione sembrerebbe un cortile vasto, quasi una piazza centrale di paese, invece e' uno spazio molto contenuto.
Vecchio e' l'aggettivo che ritornava nella mia mente: un cortile vecchio; "un cortilaccio" : esordii tra me e me !
E gli odori ! Quegli odori che esalavano dal cortile: una mistura fra la polvere del selciato, il serbatorio dell'ape di Mario, l'odore di due magazzini che vi si affacciavano stracolmi di attrezzi per la campagna, la legna da ardere riposta sotto una tettoia.
Era l'odore di una vita di lavoro, delle generazioni che avevano popolato quello spazio.
Me ne innamorai !
Quel cortilaccio mi riporto' alla memoria quando, piu' di quarant'anni prima, andavo a Gavi a trovare la nonna e poi a far visita ad altri parenti.
Arrivare dalla Svizzera fino al basso Piemonte per quei tempi era un viaggio. Milano non aveva ancora la circonvallazione autostradale e per attraversarla si impiegava molto tempo, percio' questo viaggio non si compiva mai piu' di una o due volte l'anno.
Gavi mi piaceva, con quegli odori forti che uscivano dai negozi di alimentari: gli stoccafissi appesi, le scatole in metallo aperte con le acciughe e i tranci di tonno da vendere a peso e poi i formaggi, i salumi, pane, focaccia.
Tutti questi odori si mescolavano prendendo il mio naso come in un sogno.
Quasi tutto mi affescinava, come le vecchie corriere rumorose, fumose e lente; qualcosa per me quasi irreale, come il gusto, un po' difficile da apprezzare, del gioccolato fondente delle uova di Pasqua. Non riuscivo a capire come quei bambini ne fossero cosi' ghiotti, ma non riuscivo nemmeno a capire come si potessero chiamare automobili le '500 e soprattutto come ci si potesse stare dentro in piu' di due persone. Ma mi piacevano e non avrei mai voluto andarmene da quel posto che aveva tutto il mio affetto bambino.
E dopo quaranta anni mi trovavo in un cortile che mi faceva rivivere una parte importante della mia infanzia.
E siccome la memoria e' come un bacino dagli scenari sorprendenti e imprevedibili, l'odore del "cortilaccio" , questa volta piu' forte, forse per un soffio di vento piu' deciso, mi porto' sulla scena di quando, con la nonna e la mamma, andavo a trovare lo zio Gigio.
Lo zio era un vecchietto rugoso e ricurvo che passava molto tempo seduto su un sedile di pietra, appoggiato in avanti sul suo bastone di legno, con un cappello tipo basco calcato sulla testa pelata.
Spingendo un pesante portone di lagno scuro si entrava in una corte interna parzialmente coperta da un soffitto a volta, quasi un corridoio, che immetteva nella corte stessa; una somiglianza con l'archivolto che a Valrossara immatte nel "cortilaccio" .
Lo zio Gigio non sempre era sorridente e accogliente e comunque non ero particolarmente attratta dalla sua presenza e non avendo ancora imparato le buone maniere, nemmeno mi sforzavo di mostrargli qualche attenzione.
Quello che mi intrigava e attraeva era gironzolare in quello spazio inusuale, pervaso da un forte odore di ferraglie e fieno.
Lo zio era stato un fabbro e un contadino e nel cortile giacevano gli arrugginiti trofei delle sue attivita' lavorative, ossia vecchi arnesi da lavoro e pezzi di ferro accatastati in un canto.
L'odore pungente del ferro era ammorbidito da quello del vecchio fienile e della stalla ormai in disuso.
Piu' rimanevo in quel cortile, piu' quegli odori si trasformavano in qualcosa di quasi magico e si imprimevano nella memoria; e si impressero cosi' indelebilmente che forse, senza rendermene mai conto, sono andata ricercandoli per anni, di certo ogni qualvolta varcavo il confine.
Ed ora eccomi li' , in una piccola frazione attorno a Gavi, con una meletta rosicata fra le dita, a rivivere finalmente quelle memorie.
Fu cosi' che quel "cortilaccio" divenne parte dei luoghi a me cari e un punto di riferimento fra un viaggio e l'altro.

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